giovedì 6 dicembre 2012

Storie piccoline a Pilastro


C'era un pochino di fiume nei suoi occhi. Un torbido fiume, spesso frenetico, più forte che il suo piccolo corpo di quattro anni. Tutti i suoi compagni di classe avevano la stessa età, ma nessun'altro viveva con tale fiume tortuoso negli occhi. Filippo era in grado di fare tutti gli esercizi possibili ed immaginari, rispondeva con astuzia agli educatori e insegnava ai colleghi quello che potevano non aver ancora imparato. Poi si chiudeva col suo fiume per tempi variabili, a volte pochi minuti altre volte tutta la mattina, e tutto in lui diventava aggressivo e tortuoso.

Un giorno mi avvicinò con un foglio e penne coloranti, chiedendo di sedersi al mio fianco. Disegnando mi guardava (mi osservava già da circa un mese). Verde e marrone, poi un po' di blu.
- Ti posso raccontare una storia?
- Sono tutta orecchi.
- Questo è mio padre che pesca. Ci piaceva molto, a mio fratello e a me, andare a pesca con lui. Da due mesi non lo facciamo più. Mio padre si è suicidato, e mi manca. Ecco perchè disegno le cose che mi piaceva fare con lui.

Continua concentrato nel suo compito, in silenzio. Poco dopo, vedendo che Dhael non riesce a scegliere le penne per il suo disegno, si alza e va ad aiutarla.
- Cosa vuoi disegnare?
- Il mio sogno! – risponde la zingarellina degli occhi neri, dai capelli neri intrecciati, corpo sottile e vivace, sempre pronta per una corsa. Era raro trovarla seduta, ancora di più con l'intenzione di disegnare. Quando l'ho trovata una volta per strada ha tenuto a presentarmi a tutte le donne della sua famiglia, che sono venute una dopo l'altra fuori dalle case mobili, curiose di conoscere la tirocinante della scuola per i piccoli di Pilastro. Ogni volta che mi perdevo in giro in quel quartiere qualcuna di loro mi trovava, riportandomi al posto giusto.

- Qual è il tuo sogno, Dhael?
- Fare un viaggio. Sono qui a dipingere la mia valigia. Avrà molte cose! – diceva, con le braccia aperte e gli occhi luminosi.
- E dove vai?
- In Kosovo.
E c'era il mondo intero a brillare nei suoi occhi, c'era tutta la famiglia che non era finita a Pilastro, e per loro voleva prendere una valigia con molte cose, soprattutto con gli spaghetti.

- Spaghetti con un po' di olio d'oliva e aglio, è il mio cibo preferito – rispose Filippo. I suoi occhi di fiume continuavano a vagare per la stanza. Qualcuno fa un rumore, qualcuno grida, e Filippo gli corre incontro. Si tratta di Louise, la piccola biondina dagli occhi azzurri, che si rifiuta di lasciare il grembo di suo padre. Lo teneva stretto e gridava ogniqualvolta vedeva un insegnante. Filippo appare nuovamente accanto a me in silenzio, prende la mia mano e mi porta a Louise. Non aveva bisogno di spiegare, lo avevo già fatto con lui: il trucco dell'abbraccio. Quello più grande si mette accovacciato all'altezza di quelli più piccoli, rilassa le braccia e respira lentamente, creando un abbraccio calmo. Era l'unico modo per calmare il fiume torbido all'interno di Filippo, e lui avrà pensato che avrebbe funzionato anche con Louise. Ho accettato il suo invito silenzioso.

- Louise, guarda chi è venuta oggi! – ha detto il piccolino. Lei lascia il padre e viene ad abbracciarmi, con grande forza, rimanendo in grembo per lungo.
- Inês, ho già detto a mio babbo che stasera dobbiamo andare al ballo! Voglio un vestitino blu come i miei occhi, con una gonna che ruota tanto, e anche tu ti devi fare bella!

Il padre mi conosceva da poco e fissava il pavimento, un po' imbarazzato dalla perenne fantasia di Louise, la dolce fanciulla che raramente atterrava sulla stessa terra della maggior parte dei suoi compagni. Louise era una delle poche che giocava con Dhael, e scese dal grembo solo per accettare il suo invito e andare a giocare in giardino. Da lì, gridò:
- Inês, di che colore è il tuo vestito per andare al ballo oggi? – e aggiunge un sorriso infinito mentre scivola.

Solo Filippo è rimasto nella stanza. Il suo disegno non era mai perfetto, mai terminato. Non c'era spazio per tutto il fiume lì.

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