martedì 11 dicembre 2012

Imparare l'inferno sulla punta della lingua


Non siamo tutti nati col sangue comico. Questo non vuol dire che non siamo attratti dalla commedia quotidiana o sporadica, solo che questo non viene bene con le parole. Penso in particolare in quella commedia più lasciva. Ci sono delle persone particolarmente dotate per questo, con cui le parole infernali suonano a pane con marmellata e pepe, a cioccolato col peperoncino. Hanno già cercato di insegnarmi a farlo.

È un po' triste venire da Porto e non essere in grado di pronunciare correttamente "Andate, andate con la Madonna dello Stupore figli miei, andatevene al diavolo!", una frase che tanto ci fa ridere nei pranzi di domenica. O quando parlo con un caro amico del cuore, chiedo se mi vuol ancora bene e ho diritto a cinque minuti di buona verbosità, finita con "mi piaci più di quasi chiunque altro al mondo, cazzo!" e non sapere mai la risposta giusta.

Pepe sulla punta della lingua, una delle lezioni abituali della mia generazione. Credo di aver sperimentato solo una volta, a scuola, dopo qualche parola altisonante. A casa mi hanno insegnato a non essere povera di spirito attraverso la lingua, ma confesso che sento una ricchezza enorme in chi sa davvero parlare male!

C'è una casa vuota alla quale sorrido ogni volta che faccio il viaggio tra Lisbona e Porto col treno. Si tratta di una casa con un sacco di ricordi e di saudade. Lì ho avuto la mia prima insegnante di lingua dall'inferno.

- Ecco, i tuoi genitori se ne sono andati. Ora dimmi tutte le parolacce che hai già imparato.
Diventavo terribilmente imbarazzata e non riuscivo a parlare.

- Se non me le dici, non ti faccio la torta all'ananas.
Questo era un punto particolarmente dolente. La torta all'ananas col caramello era divina. Era un pezzo di paradiso nell'inferno che mi chiedeva. Si dovrebbe risarcire il danno.

- E se lo dico, mi fai la torta all'ananas, le patatine e l'uovo fritto?
- Dimmele prima, per vedere se te le meriti!

E io le dicevo, incominciavo pian pianino e aumentavo il tono in linea con le sue risate ampie, che occupavano tutta la casa e chiamavano gli animali. Era un piacere: cani, gatti, parolacce, risate, dolci e fritti, tra le altre cose buone. Un paradiso per una bambina irregimentata alla regola.

- Guarda, tu non hai una vita per questo, figliola. Studi molto, vai alla messa, fai la musica e non sciocchi mai. Una persona deve dire e fare delle cazzate per mantenersi in salute – mi avrebbe detto pochi anni dopo. E metteva la radio accesa a volume alto, ridendo del grido immediato di un vicino di casa e mi serviva un'altra fetta di torta all'ananas.

Non ho avuto tempo per raccontarle cos'ho imparato dell'inferno. Ho "infernizzato" particolarmente nell'anno della sua morte. Credo che sarebbe orgogliosa se mi avesse visto sul palco vestita da sivigliana, sollevando la gonna a simulare la minzione, combattendo con una forcina, fumando senza scrupoli e dicendo che, in quella situazione, una donna "prende il toro per le corna, tira le ovaie e manda tutto a fanculo!" 1


1  Antonio Onetti (2003) A Rua do Inferno, Livrinhos de Teatro.

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