giovedì 7 febbraio 2013

"Guarda che sbagliare è difficile"

- non vanno via, sono delle parole che risuonano dentro la testa. È difficilissimo, vorrei dirle; ho sbagliato un sacco e non mi perdono, è veramente una roba pesante.

Oggi ho passato delle ore a scrivere un post in portoghese. Mi sono seduta sotto il sole nel terrazzo caotico e son rimasta a scrivere fino al punto in cui il cibo in forno si è rovinato. Pensavo sul corpo delle donne, già che vorrei riflettere un po' sui pensieri femministi che portavo ormai da una vita precedente; fino al 14 febbraio, detto V-day, vorrei pensarne un po'. Anche troppo da tradurre, non penso di farlo. Mi sono trovata abbracciando Beauvoir un'altra volta, a lei che non leggevo da tanto, lei che mi aiutò a capire un bel po' di cose sulla situazione femminile e la rabbia che non saprei mai come mettere in parole, ogni tanto.

E pure cosi, pure avendola già letto, mi trovo nel punto in cui penso: col diavolo, ho sbagliato. Ho promesso a me stessa un sacco di cose che non ho compiuto. Mi sono coinvolta in situazioni e con della gente che mi fa stare come quella che non vorrei essere. Praticamente prego una cosa e applico un'altra. Il massimo di tempo in cui provai a stare-senza-dover-piacere a qualcuno sono stati due anni. In quegli anni ho sbagliato e mi pento. Ma vorrei ancora poter stare in questo mondo senza dover piacere agli altri.

Eccola, sarà strano per chi mi ha conosciuta parlando in italiano - una volta ero diversa. Ci sono stata tre volte: una libera, una persa e una invecchiata. Qui in Portogallo ho ormai passato troppo tempo, quindi la gente mi attribuisce un sacco di memorie diverse. Ma lì erano molto più definite. Ero molto più la ventenne che (pure studiando) usciva, si divertiva, beveva anche un po', perdeva il massimo controllo, faceva quello che le andava da fare, cantando, ballando e piangendo per strada. Ero molto più padrona di me stessa, provavo tutto in un modo molto più intenso e caldo. Che diavolo di libertà, mi ha fatto soffrire un sacco. Com'era bella, quella libertà. Ho imparato quell'italiano libero; ora sto per incominciare delle lezioni formali "per attestare il capitale linguistico", porco cazzo. Dove mi son messa? Nel punto in cui voglio tornare senza fine ad una memoria finita, e per quello diventando traduttrice di una lingua che mi può morire nel cuore? Scrivo in italiano come scusa compensatoria già che sono diventata la bimba dell'accademia, ordinata per la media, sembrando sempre equilibrata, ragionevole ed orgogliosa?

Mi pento, cazzo. Un po' ho sbagliato direzione. Quello che a tutti - pure a me - sembrava giusto pur se camminando in modo caotico, era sbagliato per il mio cuore. Ora lotto contro quello che ho costruito. Magari così si definisce l'invecchiare: lottare contro quello che si ha costruito prima. Ma imparando a lottare fino alla fine, nonostante l'orgoglio.

Un giorno, quando sarò veramente vecchia, vorrei tornare ad essere tanto libera, idiota ed intensa come in quei giorni. Va anche bene che mi muova più piano, affinché sappia come fare tre scherzi per ogni secondo in più. Si accetterà la compagnia matta di chi possa voler lo stesso.

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