C'era un pochino
di fiume nei suoi occhi. Un torbido fiume, spesso frenetico, più forte che il
suo piccolo corpo di quattro anni. Tutti i suoi compagni di classe avevano la
stessa età, ma nessun'altro viveva con tale fiume tortuoso negli occhi. Filippo
era in grado di fare tutti gli esercizi possibili ed immaginari, rispondeva con
astuzia agli educatori e insegnava ai colleghi quello che potevano non aver
ancora imparato. Poi si chiudeva col suo fiume per tempi variabili, a volte pochi
minuti altre volte tutta la mattina, e tutto in lui diventava aggressivo e
tortuoso.
Un giorno mi
avvicinò con un foglio e penne coloranti, chiedendo di sedersi al mio fianco.
Disegnando mi guardava (mi osservava già da circa un mese). Verde e marrone,
poi un po' di blu.
- Ti posso
raccontare una storia?
- Sono tutta
orecchi.
- Questo è mio
padre che pesca. Ci piaceva molto, a mio fratello e a me, andare a pesca con
lui. Da due mesi non lo facciamo più. Mio padre si è suicidato, e mi manca. Ecco
perchè disegno le cose che mi piaceva fare con lui.
Continua
concentrato nel suo compito, in silenzio. Poco dopo, vedendo che Dhael non
riesce a scegliere le penne per il suo disegno, si alza e va ad aiutarla.
- Cosa vuoi
disegnare?
- Il mio sogno! –
risponde la zingarellina degli occhi neri, dai capelli neri intrecciati, corpo
sottile e vivace, sempre pronta per una corsa. Era raro trovarla seduta, ancora
di più con l'intenzione di disegnare. Quando l'ho trovata una volta per strada
ha tenuto a presentarmi a tutte le donne della sua famiglia, che sono venute
una dopo l'altra fuori dalle case mobili, curiose di conoscere la tirocinante
della scuola per i piccoli di Pilastro. Ogni volta che mi perdevo in giro in
quel quartiere qualcuna di loro mi trovava, riportandomi al posto giusto.
- Qual è il tuo
sogno, Dhael?
- Fare un
viaggio. Sono qui a dipingere la mia valigia. Avrà molte cose! – diceva, con le
braccia aperte e gli occhi luminosi.
- E dove vai?
- In Kosovo.
E c'era il mondo
intero a brillare nei suoi occhi, c'era tutta la famiglia che non era finita a
Pilastro, e per loro voleva prendere una valigia con molte cose, soprattutto
con gli spaghetti.
- Spaghetti con
un po' di olio d'oliva e aglio, è il mio cibo preferito – rispose Filippo. I
suoi occhi di fiume continuavano a vagare per la stanza. Qualcuno fa un rumore,
qualcuno grida, e Filippo gli corre incontro. Si tratta di Louise, la piccola
biondina dagli occhi azzurri, che si rifiuta di lasciare il grembo di suo
padre. Lo teneva stretto e gridava ogniqualvolta vedeva un insegnante. Filippo
appare nuovamente accanto a me in silenzio, prende la mia mano e mi porta a Louise.
Non aveva bisogno di spiegare, lo avevo già fatto con lui: il trucco
dell'abbraccio. Quello più grande si mette accovacciato all'altezza di quelli
più piccoli, rilassa le braccia e respira lentamente, creando un abbraccio
calmo. Era l'unico modo per calmare il fiume torbido all'interno di Filippo, e
lui avrà pensato che avrebbe funzionato anche con Louise. Ho accettato il suo
invito silenzioso.
- Louise, guarda
chi è venuta oggi! – ha detto il piccolino. Lei lascia il padre e viene ad
abbracciarmi, con grande forza, rimanendo in grembo per lungo.
- Inês, ho già
detto a mio babbo che stasera dobbiamo andare al ballo! Voglio un vestitino blu
come i miei occhi, con una gonna che ruota tanto, e anche tu ti devi fare
bella!
Il padre mi
conosceva da poco e fissava il pavimento, un po' imbarazzato dalla perenne
fantasia di Louise, la dolce fanciulla che raramente atterrava sulla stessa
terra della maggior parte dei suoi compagni. Louise era una delle poche che
giocava con Dhael, e scese dal grembo solo per accettare il suo invito e andare
a giocare in giardino. Da lì, gridò:
- Inês, di che
colore è il tuo vestito per andare al ballo oggi? – e aggiunge un sorriso
infinito mentre scivola.
Solo Filippo è
rimasto nella stanza. Il suo disegno non era mai perfetto, mai terminato. Non
c'era spazio per tutto il fiume lì.
Ringraziando Akio per la revisione *
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